Il Gazzettino e la società veneta

 

Pochi sanno che nel 1866, anno che vide il Veneto e Venezia riunirsi finalmente alla Madrepatria, uscì a Milano, per i tipi dei fratelli Borroni, il primo libro di un poema epico, intitolato "Italiade o le guerre dell’indipendenza italiana". Sì, proprio un poema epico, come l’ "Odissea" o l’ "Eneide", l "Orlando Furioso" o la "Gerusalemme liberata". L’autore, che si era celato sotto il patriottico nom de plume di Ausonio, aveva previsto addirittura un’opera di quattro libri in cinque canti e tremila endecasillabi. L’ambizioso progetto si interruppe, tuttavia, al primo libro, pubblicato a proprie spese. L’opera non passò del tutto inosservata, se fu lodata da scrittori e letterati del calibro di Niccolò Tommaseo e Francesco Domenico Guerrazzi.

Ma chi si nascondeva sotto l'impegnativo e arcaico nome di Ausonio ? Era un giovane, poco più che ventenne – era nato infatti nel 1845 in un piccolo paese del Cadore - , che aveva scritto l’ "Italiade" addirittura tra i sedici e i diciotto anni. Si chiamava Gianpietro Talamini ed è ora noto, più che per le sue doti di poeta epico, per avere fondato, nel 1887, uno dei più antichi e conosciuti quotidiani regionali italiani: quel Gazzettino di Venezia che ancor oggi è il principale giornale delle Tre Venezie e che egli diresse, oltre che esserne il proprietario, dalla fondazione sino al 1934, quando, nel capoluogo veneto, lo colse la morte. Per tutti questi anni l’esistenza di Talamini si identificò con il Gazzettino, che, a sua volta, ricevette l’inconfondibile impronta del suo padre-padrone.

Alla storia del quotidiano veneziano, dalla nascita ai giorni nostri, lo scrittore Sante Rossetto ha dedicato un bel libro fresco di stampa (Il Gazzettino e la società veneta, Cierre edizioni, Verona 2004, pp. 351, euro 18, per informazioni tel. 045/8581572). L’Autore è personalità poliedrica, perché, oltre ad aver svolto per molti anni la professione di giornalista, si è cimentato con esiti brillanti anche nella ricerca storica, pubblicando numerosi volumi di storia veneta, in particolare del Settecento. Ha mostrato inoltre indubbie doti di romanziere con Totila l’Immortale del 1999, opera che gli è valsa il Premio Hemingway nel 2000 e il premio Spoleto nel 2002.

Il Gazzettino e la società veneta è diviso in quattro parti: la prima copre gli avvenimenti che vanno dalla fondazione del giornale alla fine della Grande Guerra, a cui fanno seguito, nella seconda, gli anni del Fascismo. Le ultime due tappe riguardano il dopoguerra, quando il quotidiano veneziano finisce prima nelle mani della Balena bianca democristiana (sino al 1983), per poi essere ceduto a un gruppo di industriali veneti. Il Gazzettino delle origini è un giornale popolare, molto attento alla cronaca, soprattutto locale: alcuni avversari giungono a definirlo addirittura il giornale degli analfabeti o delle serve. Di certo è, come si dice oggi, un prodotto editoriale nuovo, rivolto in particolare a quei ceti umili che si rispecchiano in esso. E’ questo il motivo del suo grande successo. In politica è moderatamente anticlericale, irredentista, ma anticolonialista, sicuramente antisocialista. Scoppiata la prima guerra mondiale è, quindi, naturalmente interventista. Così leggiamo da un articolo dell’8 marzo 1915: "Qualunque altra città e regione d'Italia potrebbe essere afflitta di viltà neutralista, non mai la regione veneta, non mai Venezia che ebbe dalla neutralità una durissima lezione, ebbe un colpo mortale, la fine del suo glorioso impero di quattordici secoli, il mercato di se stesso avvenuto come cosa vile fra i due litiganti … Dovrebbe bastare questo ricordo ai veneziani e ai veneti tutti per odiare mortalmente la neutralità … per fortuna e per l'onore di Venezia e della regione, il Veneto non è per la neutralità". Bello e virile discorso, questo, che non ci è capitato di risentire lo scorso anno quando, in terra veneta più che altrove, impazzava il pacifismo più sconsiderato… Gli è che il concetto di patria era per Talamini, come ben sottolinea Rossetto, "una realtà quasi divina" e ciò spiega, forse, anche l'atteggiamento del Gazzettino nei confronti dell'affermarsi del Fascismo sulla scena politica italiana, salutato dal giornale con entusiasmo come fenomeno positivo per il rinnovamento morale della Nazione. Tutto ciò senza sottacere le violenze, come in occasione del delitto Matteotti, definito "brigantesco ratto". Il Gazzettino si può, quindi, definire, nei primi anni del Ventennio, un giornale fascista sì, ma critico e indipendente.

Dopo il 1925, tuttavia, numerosi furono i tentativi di impadronirsi del quotidiano da parte di quei poteri forti dell'epoca che si facevano scudo del Fascismo per perseguire i propri personali interessi. Perfetta incarnazione di tali poteri fu il conte Giuseppe Volpi, il creatore del porto industriale di Marghera, il quale riuscì a impossessarsi del Gazzettino, dopo non poche ostacoli posti da D'Annunzio e dallo stesso Mussolini, nella seconda metà degli anni Trenta. Nel 1940 diverranno noti i nomi di coloro che controllavano la maggioranza delle azioni del giornale: il sunnominato Volpi, Vittorio Cini e gli Agnelli. Gli industriali, insomma. Nel dopoguerra lo stesso Ennio Talamini, figlio di Gianpietro, ricorderà le mire di quanti, politicanti o affaristi, volevano mettere le mani sul quotidiano e per i quali la politica era solo un pretesto. Il conte Volpi, poi, lesto nell'abbandonare Fascismo e Mussolini quando le cose cominciarono ad andar male, cedette - o per meglio dire, regalò … - alla Democrazia Cristiana, ancor prima della fine del conflitto, il pacchetto azionario della società che controllava Il Gazzettino. Con l'accordo, nemmeno tanto tacito, che nessuno avrebbe sollevato, a guerra conclusa, la delicata questione del fiancheggiamento al Regime dei grossi nomi proprietari, nell'anteguerra, del giornale.

Ma lasciamo perdere queste miserie, sottolineando due notizie che forse sono da ricordare più di altre in quegli anni. La prima, sicuramente poco o punto conosciuta, riguarda la collaborazione al Gazzettino, dal 10 marzo 1943, del teologo modernista Ernesto Bonaiuti, cacciato dall'Università dopo i patti lateranensi. Rossetto rileva come nei suoi articoli egli "si fa[ccia] paladino dell'Umanesimo latino e cattolico contro l'invadenza americana, estranea alla nostra cultura". Poi, l'articolo del 17 aprile 1944 sull'assassinio di Giovanni Gentile, definito "criminoso gesto senza attenuanti". Il filosofo siciliano viene ricordato come "un uomo che stava al di sopra di ogni fazione. Un uomo che aveva speso tutta la sua vita di pensatore a favore della educazione italiana". L’ultimo numero del Gazzettino nel periodo della Repubblica Sociale Italiana è del 26 aprile 1945, quando il giornale esce con il titolo <<La battaglia infuria a Berlino>>.

Comincia, poi, il lungo predominio democristiano, che ebbe inizio nel modo poco limpido che abbiamo descritto. Si pensi che il fratello di Alcide de Gasperi, Augusto, fu prima amministratore delegato, poi presidente dell’Editoriale San Marco, la società che pubblica il Gazzettino, sino all’anno della morte, nel 1966. Gli anni della Balena bianca vedono un quotidiano ligio ai voleri dei poteri forti, forse più che negli ultimi anni del Fascismo. Eccellono, in questo periodo, la direzione del siciliano Giuseppe Longo, dal 1960 al 1967, e quella, tumultuosa, di Alberto Cavallari, dal 1969 al 23 marzo 1970, quando quest’ultimo, in modo repentino, viene estromesso dalla proprietà.

Nell’estate del 1983 la creatura di Gianpietro Talamini cambia nuovamente padrone: una cordata di industriali veneti subentra ad una Democrazia Cristiana in irreversibile declino. Dopo la meteora Gustavo Selva, nel 1984 diviene direttore Giorgio Lago, che regge il giornale sino al 1996. Un periodo certamente positivo, in cui il maggior pregio del quotidiano, rileva Rossetto, è "l’abbandono dell’osservanza democristiana per diventare un quotidiano aperto a tutti".

Gli ultimi anni vedono il Gazzettino entrare in crisi, con un calo costante delle vendite, anche a causa dell’aggressiva concorrenza dei numerosi quotidiani locali del gruppo L’Espresso-Repubblica. L’organo di stampa certamente più rappresentativo della realtà veneta, più che sostenere posizioni moderati o poliste, diviene piattamente filo-berlusconiano. Non riesce a incarnare, anche culturalmente, un’alternativa ai giornali filo-ulivisti. E’ una grave carenza, questa, che caratterizza la gran parte dei quotidiani moderati italiani, incapaci di rispondere in modo adeguato ad una sfida che è pure, in senso lato, culturale.

Lontani sono, ormai, i tempi, epici in tutti i sensi, di Gianpietro Talamini, della sua onestà e di quell’amor di Patria che lo portò a scrivere, giovanissimo, l’Italiade. La poesia epica ha lasciato ormai posto all’orrendo gergo televisivo: e le fonti ‘ideali’ di molti giornali sono divenuti i telegiornali di Emilio Fede. Anche per il glorioso Gazzettino. Attendiamo, fiduciosi, un riscatto. Che si realizzerà attingendo, ancora una volta, all’essenziale freschezza delle origini.

 

Francesco Demattè

 

Pubblicato su "Il Secolo d’Italia" il 2 gennaio 2005